sabato 17 dicembre 2011

Banksy - Cardinal Sin

0 commenti
 Pochi giorni dopo la conferma della "partenità" degli stencil apparsi sulle strade di Londra e Liverpool, Banksy propone qualcosa di diverso, più istituzionale ma non meno provocatorio dei suoi soliti lavori.
Lontano dalle strade e dentro le gallerie, non più stencil e pennelli  ma marmo: Cardinal Sin è una scultura che ritrae un cardinale la cui faccia è stata rimossa e sostituita da mattonelle per il bagno. L'opera si ricollega ai continui scandali per abuso di minori di cui la chiesa è sempre più frequentemente 'protagonista'. La scultura è in esposizione alla Walker Art Gallery di Liverpool, accanto a una serie di opere religiose del 17esimo secolo. 
I commenti dell'artista di Bristol sono stati caustici, come al suo solito : "I guess you could call it a Christmas present. At this time of year it's easy to forget the true meaning of Christianity—the lies, the corruption, the abuse." Aggiungendo anche che:"I'm never sure who deserves to be put on a pedestal or crushed under one.

lunedì 5 dicembre 2011

Takashi Murakami & Yoko d'Holbachie @ Mondo Bizzarro

0 commenti
L'ultima volta che Murakami è passato da queste parti è stato l'anno scorso, per il suo progetto  site-specific alla Gagosian.  L'artista giapponese torna a Roma nella sua veste più puramente Pop in una mostra organizzata dalla Mondo Bizzarro Gallery che ospiterà alcune litografie originali fino al 10 gennaio. Per contestualizzare i suoi lavori infusi di cultura popolare giapponese, le opere dialogheranno con alcuni slide originali di famosi anime nipponici come Daitarn, Gundam, Daltanious.
Accanto al colorato mondo di Murakami si potranno anche ammirare le opere (dal 10 dicembre in poi) della giovane ma già largamente apprezzata artista pop-surrealista giapponese Yoko d'Holbachie. Come da manuale: citazioni pop di ogni genere, 'mostri' che vedono come referenti musica, cartoons, mass-media e affini realizzati in un impeccabile stile 'tradizionale'.

 (Coming up - su Satellite Voices  - una mia intervista ai curatori delle mostre Dario Morgante e Cristiamo Armati)

mercoledì 2 novembre 2011

Wim Wenders racconta Pina Bausch

0 commenti
Quando l'anno scorso lessi che tra le uscite del 2012 figurava un film di Wim Wenders in 3D su Pina Bausch rimasi tra il perplesso ed il divertito. La scelta del 3D per 'presentare' una coreografa e ballerina aveva il suo senso, ma era l'idea del film a confondermi. La curiosità, in ogni caso, era alle stelle. Non avevo mai visto nulla di Pina Bausch fino a quando, qualche anno fa, una illuminata professoressa decise di spiegarmi la semiotica applicandola ai suoi lavori. Fu una specie di illuminazione. Cafè Muller, Full Moon, Le sacre du printemps, Victor, brani estratti da vari altri spettacoli: sapevo chi fosse Pina Bausch, ma la mia riluttanza nei confronti del teatro (e della danza, anche) - dovuta forse a studi noiosi in ambito universitario - non mi aveva mai portata ad approfondire questa consocenza. Corpi che si muovevano pieni di vita ma sofferenti, quasi agonizzanti, composizioni coreografiche che non avevo mai visto, gente 'normale' in abiti normali su quei palchi, non impeccabili ballerini da Lago dei Cigni. Rimasi affascinata, quasi turbata, da quello che vedevo. Purtroppo non ho mai avuto occasione di vedere Pina - o i suoi lavori - dal vivo. 
L'altra sera, prima della proiezione alla Festa del Cinema, Wenders ha parlato del film e del suo rapporto con la coreografa scomparsa solo pochi giorni prima dell'inizio delle riprese. Come me, anche Wenders era restio all'idea di sedersi e guardare uno spettacolo di danza. Racconta (sarà vero?) che si trovava a Venezia in vacanza nel 1985, anno in cui il teatro La Fenice proponeva una retrospettiva su 6 opere della Bausch. Fu costretto (o meglio, accettò da bravo gentleman) ad andare ad assistervi dalla sua allora fidanzata. 'Tempo 5 minuti ed ero sul bordo della sedia a piangere come un bambino', dice Wenders. 
'My body  understood it, my brain took a little while to follow up'. E' vero. Anche senza avere alcuna nozione riguardo le basi teorice (nonchè politico-sociali) della Bausch, assistere (anche solo in video) ai suoi spettacoli è qualcosa che prende alle emozioni senza alcun bisogno di ultieriori informazioni. E' questo il grande pregio di questo piccolo capolavoro di film, non classificabile ne come documentario ne come... altro. Dall'inizio - un'intensa 'sintesi' di Le Sacre du Printemps - si viene proiettati in un mondo fatto di musica e corpi che comunicano. 'Senza il 3D questo film nn esisterebbe'.E' vero. E' forse uno dei pochissimi usi della 'terza dimensione' che hanno veramente senso. La profondità, la corporeità delle coreografie, la purezza dei movimenti arrivano amplificati a chi guarda. E' come stare li, in mezzo a loro. 
Wenders alterna esibizioni 'on stage' ad alcuni estratti da lui ambientati in vari luoghi di Wuppertal, dove ha sede il  tanztheater, ad alcuni 'ritratti' dei ballerini della compagnia, che raccontano intimamente il loro rapporto con la Bausch. Pina ogni tanto appare, in immagini di archivio che arrivano fino agli ultimi tempi di attività, quando il suo corpo provato dalla malattia ancora ( o forse ancora di più) comunicava emozioni e sofferenza. Immagini e musica si fondono in una maniera incredibile, migliore di qualsiasi altra 'trasposizione' della danza che abbia mai visto in vita mia. E' commuovemente, senza mai diventare patetico. 
E' la danza che comunica, non c'è bisogno di altro. Sono restia, anzi ODIO chi abusa del termine 'capolavoro', ma questa volta si può dire senza remore. Poco prima dell'inizio del film Wenders ha chiesto chi degli astanti non avesse mai visto nulla della Bausch, perchè quello è il suo target. Ha ragione, forse. Anche se non avete idea di chi fosse, fatevi un favore ed andate a vedere questo film, ne rimarrete folgorati. 

domenica 30 ottobre 2011

Haunted Air : Happy Halloween from Ossian Brown and David Lynch

1 commenti
Qualche tempo fa è uscita questa piccola meraviglia. E' stata pubblicata in Inghilterra ma è facilmente reperibile nelle librerie ben fornite (Roma è quindi esclusa dal discorso) o sui vari Amazon et similia. 
La storia è semplice. La spiega lo stesso David Lynch nella prefazione del libro.
Un comune amico, tale Pierre, un giorno chiamò il regista americano dicendogli che aveva delle cose da fargli vedere. Queste 'cose' nient'altro erano che la collezione personale di fotografie di Ossian Brown dei Coil, una serie di foto (che coprono il periodo 1875-1955) raccolte nel corso degli anni, tra mercatini e collezioni private. Il soggetto che accomuna tutte le immagini è sempre lo stesso: Halloween.

Lontano dalla plastificata immagine di costumi che andrebbero bene in un locale bdsm a cui assisstiamo oggi, qui si ha una corsia preferenziale verso quello che era la festa dei morti all'inizio del secolo nella suburbia, nelle campagne e nelle piccole cittadine di provincia americane. Costumi fatti in casa, maschere tanto ingenue quanto terrificanti, situazioni che dall'esterno, stampate in pose lunghe e spesso sfocate, trasudano anche una certa e rarefatta tristezza, ma che magari rappresentano uno dei giorni più allegri della vita delle persone impresse su queste 'cartoline dall'inferno'.

Ovviamente, racconta Lynch, rimase folgorato, mentre sorseggiando un cappuccino sfogliava centiania di immagini dove la quotidianeità si apriva verso un'aldilà non più temuto, ma quasi preso in giro, schernito. L'effetto generale del libro ('promosso' e 'consigliato' dal regista stesso) è effettivamente straniante, è come entrare da ospiti inattesi, da alieni provenienti dal futuro, da un altro mondo, in una società che ancora dava un senso a questo Samhain, sdrammatizzando la morte a cuor leggero. Sono molte le maschere che ritornano, storte, arraggiate, e sarebbe bello (questa l'unica pecca del libro) avere un'approfondita analisi di cosa rappresentavano e della loro 'espansione' sul territorio statunitense. Uno dei libri 'd'arte' più interessanti che mi sia capitato di trovare negli ultimi anni, mi sono presa la libertà di condividere alcune immagini.